La temperie culturale degli anni del Dopoguerra, in cui le speranze utopistiche di istruzione per tutti devono fare i conti con la ricostruzione materiale e – ancor più difficile – culturale, della scuola e del corpo docente, spinge a ripensare anche alla scuola nelle zone periferiche.
Come risulta nelle note e relazioni dell’Istituto centrale di statistica, ancora nel 1961, il dato della distribuzione territoriale delle scuole è uno degli elementi determinanti la forte incidenza dell’evasione dell’obbligo scolastico, dovuto anche all’elevata percentuale di bocciature presenti nella scuola. A fronte di questo si apre una forte critica, fuori e dentro la scuola, da parte di chi ritiene che frequentare l’intero ciclo della scuola elementare non possa essere un privilegio, ma una condizione minima di cittadinanza.
Le zone più periferiche e isolate del paese sono abbandonate dai propri abitanti che si recano a lavorare in fabbrica, passando dalla condizione contadina a quella operaia. Il primo motore dell’abbandono sono ragioni legate a motivi di ordine economico e al miraggio di modelli conformi alla nuova società dei consumi. Questo fenomeno della progressiva desertificazione di paesi, specie di montagna o lontani da centri urbani significativi, determina un impatto anche sul sistema di istruzione nelle periferie dello Stato, che si fa carico di rimanere uno degli avamposti principali in luoghi che stanno perdendo il proprio tradizionale ruolo, culturale, economico e sociale.
«La scuola è il primo nucleo centrale su cui lavorare per fermare l’esodo e lo spopolamento delle aree più marginali che amministriamo. Se non ci sono più le scuole non ci sono neanche più le famiglie, per questo la prima sfida da affrontare è quella della tutela dell’istruzione»
Massimo Castelli (sindaco di Cerignale, comune italiano di 119 abitanti, in provincia di Piacenza, 2017)