«Lo sviluppo del cervello umano, dalla nascita all’età adulta, è organizzato in modo da favorire le istanze identitarie. Infatti, l’acquisizione di usi, costumi e soprattutto della prima lingua, presentano periodi critici di apprendimento che si completano con la pubertà».
Fabbro, Universalismo e istanze identitarie alla luce delle neuroscienze, 2017
Il libro destinato all’infanzia si fa strumento volto non solo allo svago, ma anche al controllo e all’indirizzamento, offrendo modelli per coloro che non sono ancora adulti, ma stanno effettuando il percorso necessario a diventarlo: e ciò che è proposto, sia in età liberale sia, più spiccatamente, in periodo totalitario, implica sovente una accentuazione del tema delle differenze che separano l’italiano dallo straniero, l’interno dall’esterno, il simile dal diverso, chi è stanziale da colui che si muove.
“Straniero, “estraneo”, “strano”: tre termini che condividono la stessa radice. Sovrapposizioni fonetiche e semantiche che non hanno trovato da subito, nella nostra lingua, quella soluzione più marcata dalle lingue anglosassoni: “straniero” non è solo colui che non si è mai incontrato prima – e quindi “estraneo” –, ma è anche chi viene da un altro paese, giuridicamente diverso, così come il foreign degli inglesi e il “forestieri” italiano. Una fonte preziosa per comprendere appieno l’orizzonte semantico legato a questa parola è il dizionario di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini, pubblicato tra il 1861 e il 1874 e coevo ai volumi di cui ci stiamo occupando. Nel dizionario il lemma “straniero” riporta diverse accezioni, la prima delle quali rimanda proprio al sinonimo di “forestiero”: «STRANIERO e † STRANIERE. Agg. che di pers. si usa anche come sost. per indicare propriamente “Forestiero”.
Il termine si lega dunque, inscindibilmente, all’idea di patria: è proprio attorno a questa che le sovrapposizioni sfumano, assumendo forte rilevanza politica. Patria è un’idea importante negli anni di cui stiamo trattando; anni in cui si sta ponendo la questione del “come far esistere l’Italia” e si vogliono mettere in piedi le strutture politiche, amministrative e culturali del nascente Stato. È il momento in cui la «nazione diventa un progetto» (come scriveva Giulio Bollati, in un bel volume edito nel 1983 dal titolo l’Italiano), in un’Italia che si presenta ancora come «una ingovernabile fantasmagoria […] una accozzaglia di popoli, di Stati, d’istituzioni e di gloria messe insieme dal caso».
Nel Fondo Indire le immagini che sono chiamate a ritrarre momenti di “storia patria italiana” in modo diretto sono piuttosto poche, mentre il tema in senso più ampio è sotteso alle rappresentazioni di personaggi di cui si narrano le vicissitudini di migrazione, di conoscenza ed esplorazione della propria nazione o incontro con altre patrie da parte di combattenti, ma anche nelle storie di donne, vedove di guerra, esuli e orfani. Spesso si tratta di vicende intime e familiari narrate in forma di diario, oppure di romanzi che si svolgono sullo sfondo di particolari momenti storici italiani e perciò rimandano al rapporto tra cittadino e patria, sia nazionale, sia intesa in senso più “locale” quale appartenenza al proprio territorio di nascita.