Jules Verne, autore noto e amato, molto tradotto in Italia in questo scorcio di tempo (come anche negli anni successivi), permette alle sue migliaia di lettori di visitare mondi tanto irreali quanto ipnotizzanti, descritti nei minimi particolari da renderli verosimili, permettendo anche di far apprendere alcune nozioni geografiche/scientifiche sulla terra e sul sistema solare intero. Verne rappresenta anche e senza dubbio la possibilità di aprirsi a un immaginario inedito, di legittimare il desiderio di intraprendere viaggi avventurosi alla scoperta di realtà sconosciute, abbandonando il confortante regno del vero. Una delle sue opere più note, Dalla Terra alla Luna, narra come, all’indomani della fine della guerra civile americana, alcuni ex artiglieri, soci del Gun-Club di Baltimora progettino di spedire un proiettile sulla Luna.
Se è da buoni borghesi “star seduti” e a questo si deve educare, il viaggio dell’immaginario è consentito a chi rimane “a casa”, uno dei regali delle narrazioni tra XIX e XX secolo: mostrare spazi mai visitati e che, “con certezza”, non saranno mai visitabili. Questo tipo di produzione letteraria esprime il desiderio innato dell’uomo di frequentare luoghi altri senza muoversi, di viaggiare senza viaggiare, di farsi straniero senza essere realmente tale. Il viaggio immaginario è un tema di grande potenzialità, dal momento che, da un lato, si presta a fondere descrizione e narrazione, dall’altro si offre per infinite sfumature di metaforicità e allegoria, altrimenti considerate poco “opportune”: del resto, in Ventimila leghe sotto i mari il capitano Nemo non è figura interpretabile come una critica sottile, con la sua fuga sottomarina, al tempo in cui vive? Non è forse un azzardo pensare una tale sottrazione al mondo, se non tra le pagine di un racconto fantastico?
Le illustrazioni che attingono alla sfera immaginifica di mondi lontani, mostrano non solo altri pianeti e terre surreali, anche luoghi terreni nel loro più misterico fascino, attraversati da “esploratori”, i quali, metafora essi stessi di “stranieri”, sono intrusi in dimensioni che non gli sarebbero concesse, talvolta invece rappresentano il corrispettivo fantastico dell’avventuriero colonialista che percepisce l’altro, e mai sé stesso, come l’estraneo. L’estraneità che trova “illustrazione” infine, è anche quella metaforica, di sé stessi verso il mondo circostante, del proprio corpo che si trasforma ed evolve fisicamente ed emotivamente come in Pinocchio, oppure è quella estraneità che subiamo in quanto indotta dagli altri.