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Maestre “di frontiera”

A pochi anni dall’unificazione, l’Italia non è più una semplice espressione geografica: uscita dalla secolare frammentazione politica ed amministrativa, libera dal dominio straniero, la neonata nazione tenta di riannodare i fili di un’unità non solo politica ma anche culturale, linguistica e sociale. In questa situazione complessa si inserisce l’azione di una scuola italiana che avrebbe dovuto gettare sin da subito le basi per la formazione di un’identità e di una cultura nazionale il più possibile uniformi. La Legge Casati (1859) aveva già sancito l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione elementare per il corso inferiore, impartita dallo stato per mezzo dei comuni, ai quali spettava così anche il compito di assumere i docenti.

Tra Ottocento e Novecento si assiste però anche ad un graduale spostamento della funzione magistrale dal maschile al femminile: le insegnanti donne sono assai richieste – in particolare nelle zone più remote del paese, poco ambite per le distanze dai centri urbani e per il forte isolamento – perché è loro corrisposto, per quelle sedi disagiate, uno stipendio mediamente inferiore di un terzo rispetto a quello dei colleghi maschi, dal canto loro spesso inclini a lasciare vacanti le cattedre nelle ‘piccole scuole’.

Per le maestre, a fronte della possibilità di un lavoro e dell’indipendenza economica, si presentano molteplici difficoltà: bassi stipendi, difficile raggiungibilità dei luoghi, solitudine e, talvolta, anche problemi di inserimento nelle comunità di accoglienza, dove queste giovani donne sole faticano non poco a stabilire rapporti di fiducia e di accettazione.

«4 dicembre 1919. Oggi ho fatto scuola per la prima volta quassù, a Frassene di Cismon. Quanto male sto al pensiero di essere così lontana da casa e priva delle comodità più indispensabili. Se potessi scendere da questo monte e andare presto al piano! Babbo, mamma, fratelli e sorelle avete voi un’idea di quanto io mi senta lontana da voi? Dopo avere studiato tanto, dopo avere superato con grandi fatiche, ansie, timori, gli esami di concorso, ho il merito, forse, di restare quassù per tanto tempo in mezzo a gente che non mi conosce e con la quale non ho nessuna confidenza?»

Dal diario ritrovato di Melania Bordin, maestra rurale veneta




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La maestra con la classe, Ente pugliese di Coltura di Bari, Casa dei Bambini di Rizzi Lamie (Locorotondo, BA), anni Quaranta.
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Scuola diurna di Mammola (RC), 1924. Fondo G. L. Radice.
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Le future maestre, Scuola Normale, Istituto Farina, Vicenza. Collezione privata.
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Melania Bordin, maestra a Cesuna, Altopiano di Asiago (VI), anni Venti. Collezione privata.
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Refezione, Scuola elementare, Lauro (AV), 1937.
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Refezione, Scuola elementare di Pernosano, Pago del Vallo di Lauro (AV), 1938
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Scuola elemetare pluriclasse di Lugano, 1935. Fondo G. L. Radice.
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Giuseppe Lombardo Radice con i docenti della Scuola La Pavona nell’Agro Pontino (Roma), 1931. Fondo G. L. Radice.
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Scuola Diurna Marina di Palma (AG), anni Venti. Archivio Storico Indire, Fondo maestro Giuseppe Caputo
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Scuola rurale di Ariamacina (CS), anni Venti. Fondo G. L. Radice.