All’architetto toscano Giovanni Michelucci venne affidato il progetto architettonico delle sale, del percorso museale e degli arredi interni che egli realizzò in collaborazione con alcuni promettenti allievi quali Leonardo Ricci e Giuseppe Giorgio Gori, figlio dell’ebanista Gregorio Gori che, nella sua bottega di via della Dogana, costruì tutti gli arredi del Centro Didattico Nazionale.
Allo stesso Michelucci si deve anche il progetto per il previsto ampliamento, mai realizzato ma testimoniato da alcune stampe e disegni attualmente conservate presso l’Archivio storico Indire. Gli ambienti ideati presentavano un arredamento funzionale per accogliere materiale librario, elaborati didattici, sussidi didattici, facsimili e fotografie e per integrarsi perfettamente nell’involucro architettonico preesistente.
Al piano terreno La prima sala in cui i visitatori si trovavano era quella della Romanità, cui facevano seguito quella etrusca e del Medioevo. La sala del Rinascimento ospitava opere originali e facsimili che illustravano l’attività educativa e letteraria a partire dagli ultimi anni del Trecento fino a tutto il Cinquecento. Ancora libri, autografi e stampe arredavano la sala del Seicento, che comprendeva ciò che era relativo alla scuola dell’età Barocca del Concilio tridentino nei primi anni del secolo XVIII. Chiudeva il percorso la sala dell’Ottocento in cui erano disposti trattati sull’educazione del XIX secolo, testi scolastici, piani di studio, opere sulla storia delle istituzioni scolastiche ed educative.
Le sale dei piani superiori invece erano destinate ai vari gradi d’istruzione, elementare, tecnica e professionale, con decorazioni parietali a tema, ancora preservate, come il pergolato popolato da uccelli in quella che fu la Sala dell’istruzione agraria, lo zodiaco dipinto sul soffitto della Sala degli Istituti Nautici e il trompe l’oeil nella Sala della Presidenza, che allude alla memoria degli studioli rinascimentali.
L’essenzialità e la sobrietà delle forme del mobilio, in gran parte realizzati con legni pregiati come il noce, il ciliegio e la porrina, alla funzionalità accostano modellature della materia in linee curve e morbide: bordi e spigoli stondati, maniglie nascoste, superfici convesse. Superata la reazione agli eccessi decorativi dell’eclettismo e all’accademismo dei maestri, Michelucci abbandonò infatti le forme spigolose e rigide della produzione degli anni Venti per concedersi ad una lavorazione più libera che reinterpretasse la tradizione in chiave ‘moderna’.
In questo può dirsi sintetizzata la lezione che lo stesso Michelucci impartiva ai suoi allievi quando dal 1936 ebbe la cattedra di Architettura degli Interni all’Università di Firenze: la necessità di creare un rapporto organico tra l’arredamento e lo spazio architettonico deputato a contenerlo.
L’alluvione del 1966 ha provocato ingenti i danni ai materiali esposti e agli arredi del piano terra. I pezzi superstiti, sopravvissuti alla furia devastatrice dell’Arno, sono stati successivamente restaurati e ricollocati in altri ambienti dell’edificio, mentre alcuni si trovano ora alla Fondazione Giovanni Michelucci di Fiesole. Ancora esistente, quasi integralmente, è il mobilio delle stanze del primo e secondo piano, sebbene anch’esso in parte riadattato negli ultimi anni alle nuove funzioni dell’Istituto.
Bibliografia e link utili:
Bemporad, D. Liscia, Giovanni Michelucci, il mobilio degli anni giovanili, Firenze, SPES, 1999.
Fondazione Giovanni Michelucci